Il paese si attraversa velocemente. Poche palazzine moderne, strade larghe che si irradiano da piazze tondeggianti. Una è stata disegnata dal noto architetto Paolo Portoghesi, uno spazio su più livelli, con colonnati e cariatidi. È vuota. Non incontriamo nessuno, ci sono delle automobili posteggiate, qui e là, nessuna traccia degli occupanti. Poggioreale nuova è ancora più fantasma di Poggioreale vecchia.

I ruderi del paese secentesco si trovano pochi chilometri più in là, dopo qualche curva sul fianco della collina e, a differenza del paese nuovo, qui ci sono esseri umani. Di fatto, ogni giorno qui arriva qualcuno, incuriosito dal fascino cadente delle rovine di questa moderna Pompei.

All’imbocco della strada principale, c’è l’unico edificio messo in sicurezza, Palazzo Agosta che, per iniziativa dell’associazione Poggioreale Antica e del suo appassionato presidente, Giacinto Musso (che qui c’è nato, salvo fuggirne, in collo a sua madre, all’età di tre mesi), è diventato “Museo Improvvisato”. Vi sono raccolti gli oggetti che i soci hanno ricevuto in dono o recuperato fra le macerie, semplici segni di una vita che, nella notte del 14 gennaio 1968, si fermò per sempre.

Il terremoto del Belìce fu un evento catastrofico che rase al suolo interi paesi come Gibellina e Montevago e ne danneggiò altri in modo irreversibile. La situazione fu vieppiù aggravata dall’isolamento del territorio interessato, una vallata dell’interno della Sicilia della quale la gran parte degli italiani non aveva mai neanche sentito parlare.

Ecco perché, quando giunsero sul posto, i giornalisti iniziarono nei loro reportage a chiamarla Valle del Bèlice, spostando l’accento e dando origine a un errore che continua ancora oggi. La distruzione e la morte conseguenti al devastante terremoto, nel cuore di un inverno particolarmente rigido, spinsero molti degli abitanti ad andare via, aiutati anche da un governo che, non sapendo bene che pesci prendere, regalava biglietti del treno a chi decideva di abbandonare la propria terra.

Fino all’inizio del 1968, Poggioreale era stato un paese ordinato e operoso, con trecento anni di storia sulle spalle. Nato per iniziativa del marchese di Gibellina nel 1643, aveva case di pietra allineate lungo strade acciottolate con cura, un bel corso, nove chiese e anche qualche palazzina un po’ più elegante, con stanze grandi e luminose dai pavimenti in majolica e i soffitti ornati di affreschi.

C’era un teatro, con i palchi allineati in un ordinato, piccolo emiciclo, e una piazza, grandissima, dove ci si incontrava la domenica o dopo il lavoro, e gli anziani sedevano insieme, a guardare i passanti (una piazza che Giuseppe Tornatore scelse come set per alcune scene dell’Uomo delle Stelle).

Qui era stato costruito anche un ospedale, a pochi passi dalla scalinata che portava alla chiesa madre che, col suo snello campanile, dominava il panorama. C’erano pure una biblioteca realizzata in epoca fascista che, con le sue linee moderne e squadrate si distingueva fra i vecchi edifici, e una scuola con i banchi allineati su sgraziati pavimenti rivestiti di granella di marmo, così alla moda alla metà del secolo scorso. D’altra parte, i servizi erano necessari, in un paese di operosi agricoltori, pastori e piccoli borghesi che sommavano insieme circa 4000 anime.

Il paese fu abbandonato nel corso degli anni seguenti al terremoto. Per la verità, mi ha spiegato Giacinto Musso, solo il 20% delle case era irrimediabilmente lesionato, per molto tempo i proprietari continuarono a frequentare il “paese vecchio”, pur vivendo ormai un po’ più a valle, nel nuovo paese disegnato dagli architetti. Un paese che però era frutto di una pianificazione a tavolino che ha creato case e piazze ma non ha dato loro un’anima. Molti hanno preferito andarsene lontano, magari in Australia dove la comunità originaria di qui è molto numerosa. A Poggioreale sono rimasti in 1500, più o meno.

Così, col tempo, le vecchie pietre si sono andate sgretolando. Nel 2009 è venuto giù il campanile della chiesa madre e i ruderi delle case sempre più pericolanti sono frequentati dagli istruttori e dagli allievi della Protezione Civile che qui trovano lo scenario ideale per esercitarsi in operazioni di salvamento. Operazioni che, a mio parere, magari si potrebbero fare altrove, trasformando invece la vecchia Poggioreale in un polo di attrazione turistica e dando così nuove prospettive di sviluppo a questo territorio.

Per le info, le immagini del museo e le foto del post terremoto ringrazio l’ass. Poggioreale Antica