Minne di vergini dalla forma maliziosamente ammiccante, biscotti papali profumati di marsala, genovesi gonfie di ricotta e cioccolato, fedde del cancelliere di morbida pasta di mandorle e pistacchi, teste di turco e altro ancora… Non si può certo dire che le suore palermitane mancassero di inventiva, quando si trattava di impastare le loro specialità.

In Sicilia, la tradizione dolciaria è intimamente legata ai conventi femminili, dove le monache preparavano dolci eccezionali, in una “guerra” non dichiarata fra benedettine, carmelitane, domenicane eccetera. Come mi disse una volta Gaetano Basile, giornalista palermitano esperto di storia e curiosità cittadine, “dietro le grate della clausura le monache confezionavano delizie gastronomiche da mandare ai parenti perché si ricordassero di loro”. Curiosamente, molte delle loro ricette si possono fare risalire alla dominazione araba.
Le monache, difatti, per uno di quei curiosi contrappassi con cui la storia spesso si diverte, erano state a loro volta depositarie della sapienza pasticciera saracena, passata nei conventi femminili, all’indomani della conquista normanna della Sicilia. Secondo una suggestiva teoria del gastronomo Alberto Denti di Pirajno, quando furono dispersi gli harem degli emiri, alcune odalische trovarono riparo fra le mura dei monasteri e qui insegnarono alle altre donne le abilità acquisite preparando i dolci con cui avevano stuzzicato il loro signore.

A Palermo, uno dei monasteri più affollati era quello di Santa Caterina, con decine e decine di suore e un esercito di domestiche e serve a occuparsi di loro. Il complesso era immenso, con due cortili, una chiesa enorme, un labirinto di corridoi e un altissimo loggiato sul Cassaro da dove osservare la vita senza essere vedute. Da qui le suore potevano seguire gli eventi importanti a cominciare dalla processione di Santa Rosalia, per la quale avevano speciale devozione. Al passaggio del carro, infilando le mani fra le grate delle gelosie, lanciavano le plumerie più belle e profumate, raccolte dagli alberi che crescevano nel chiostro.

Quel chiostro che oggi accoglie decine di visitatori, attratti dalla possibilità di gustare i dolci conventuali, preparati con meticoloso rispetto per la tradizione da una cooperativa giovanile che ha raccolto il testimone dalle ultime monache. Seduti intorno alla bella fontana in marmo ornata dalla statua di San Domenico, alzando gli occhi si possono vedere le finestre delle celle delle suore più altolocate, che potevano disporre di una piccola veranda sul chiostro, riparata da tende bianche. Alla priora spettava l’alloggio migliore, un luminoso appartamento dalle volte delicatamente affrescate.

Il monastero di Santa Caterina era stato fondato nel Trecento, originariamente per accogliere le “ree pentite”, e in poco tempo era divenuto un “monastero nobiliare”, preferito dalle famiglie aristocratiche che avevano una o più figlie da destinare alla vita claustrale. Le novizie, una più titolata dell’altra, giungevano da ogni parte, ciascuna con la propria dote, somme di denaro e proprietà che nel tempo resero il convento molto ricco. Essendo di clausura, le suore non potevano avere contatti col mondo esterno e la loro vita si svolgeva al di là delle fitte e massicce grate dei matronei, un ampio camminamento che segue il perimetro della chiesa.

Oggi le stanze sono adibite anche a spazio espositivo, vi sono le cosiddette “scarabattole”, statuine di Gesù Bambino, Maria Bambina e vari santi, realizzate in cera fra il Sette- e l’Ottocento, e delle bambole, portate dalle bambine che, destinate alla clausura fin dalla nascita per non disperdere il patrimonio familiare, erano condotte in convento in tenerissima età. Dai matronei, una scala stretta conduce ai tetti e alla cupola, un punto di osservazione privilegiato dal quale si può vedere tutta la città a 360 gradi.
La visita al complesso non può tralasciare la chiesa, un trionfo barocco con pochi eguali in città, realizzato fra la fine del Seicento e la seconda metà del secolo seguente da alcuni dei principali architetti e artisti dell’epoca. Costoro decorarono ogni centimetro con marmi mischi e affreschi, come quelli bellissimi della cupola, raffiguranti il Trionfo dell’Ordine Domenicano e, delle vele, le Allegorie dei Continenti, opera di Vito D’Anna.

Da qualche anno, il complesso di Santa Caterina è diventato una delle destinazioni più amate dai golosi, cittadini e forestieri. Davanti alla vecchia cucina delle monache si creano lunghe file di persone, in paziente attesa di cannoli e paste di mandorle, biscotti ricci, ‘mpanatigghi e del trionfo di gola, dolce sontuoso di morbido pan di spagna, colmo di marmellata di albicocche e coperto di croccante frutta secca. Un dolce “storico”, che si trova solo qui. A meno di non prepararlo a casa! A chi desidera cimentarsi è destinato il libro I segreti del chiostro di Maria Oliveri, con tante ricette ma anche le storie dei conventi cittadini. È in vendita nella dolceria.