Il 26 dicembre del 1798, la HMS Vanguard di Horatio Nelson giunse a Palermo. A bordo della nave dell’ammiraglio inglese c’era un carico molto importante.
Oltre a “i mobili più preziosi de’ palazzi di Caserta e di Napoli e le rarità più pregevoli dei musei di Portici e di Capodimonte, le gioie della corona e venti milioni o forse più di moneta e metalli preziosi”, sulla nave da guerra c’erano re Ferdinando IV di Borbone, sua moglie Maria Carolina e i loro figli.

I sovrani si installarono a Palazzo Reale, ma in pochi giorni capirono che la vetusta reggia normanna non faceva per loro. I secoli vi avevano lasciato più di un segno e, nonostante fossero stati fatti lavori di restauro e ampliamento, era in uno stato deplorevole. Così Re Ferdinando incaricò Giuseppe Riggio, principe di Aci, di ricercare una sistemazione più consona alla reale famiglia: né a Palermo, infatti, né nelle sue vicinanze, c’erano “fabbriche e tenute di proprietà della Corona adeguate sia al ruolo di residenza regale sia a quello di Siti Reali, destinati a specifiche attività di diletto o utilitaristiche”.
La Real Favorita
Il re, probabilmente, non era ottimista riguardo alla possibilità di rientrare a Napoli in tempi brevi e così non solo avviò lavori di ammodernamento del palazzo, ma anche, e soprattutto, una vasta operazione di acquisizioni fondiarie per la realizzazione, appunto, dei siti reali, dove avrebbe potuto dedicarsi alle sue attività preferite: la caccia, la pesca e le sperimentazioni agrarie e zootecniche. Il più prestigioso di questi siti è quello che oggi conosciamo come Parco della Real Favorita.
La tenuta, vasta circa 400 ettari, venne realizzata al principio del 1799 accorpando le proprietà contigue di più famiglie aristocratiche nella Piana dei Colli (chi ne soffrì di più fu il principe di Niscemi, al quale il re espropriò senz’altro vaste porzioni di terreno, lasciandogli solo la villa e il permesso di accedere a piacimento alla tenuta). La zona era perfetta per gli scopi di Ferdinando: c’era la montagna per fare “passeggiate romanzesche”, vaste estensioni boscose in cui galoppare all’inseguimento dei cinghiali e delle lepri, e una palude, sulla costa poco lontano, da destinare alle battute di caccia alla penna.

Dotato di “padiglioni d’ingresso per le guardie a cavallo, di viale d’onore, di giardini ornamentali regolari e di veduta, di villa (la Casina Cinese), chiesa e corpi di servizio (con stalle, rimessa, corpo di guardia, cucine, cantine, magazzini e alloggi), questo parco finì per assumere il ruolo di residenza regale principale”. Della tenuta oggi resta solo un pallido sembiante, la residenza dei sovrani, invece, anche grazie a una serie di restauri, è tuttora lì e, col suo aspetto elegante quanto stravagante, può ancora riportarci a duecento anni fa.
La “moda cinese”

Nel Settecento, la passione per le cineserie dilagò in Europa. Chi se lo poteva permettere si faceva realizzare in casa eleganti ambienti “alla cinese”, ma anche solo qualche pezzo di mobilio poteva bastare, o dei decori. A Palermo, il barone Benedetto Lombardo della Scala decise di fare le cose in grande: lui, di cinese, avrebbe avuto una villa intera.
Quella che oggi conosciamo come Palazzina (o Casina) Cinese, venne costruita su sua disposizione fra le limonaie e gli agrumeti nella Piana dei Colli, a nord di Palermo, su progetto di Giuseppe Venanzio Marvuglia, sul finire del Settecento. La costruzione, in legno e pietra, aveva la forma di un palazzina orientale, con un corpo centrale affiancato da due più bassi, con i tetti a pagoda ed esili colonne a sorreggere i ballatoi in legno, con le ringhiere dipinte di rosso. Tutt’intorno una cancellata, sulla quale decine di campanelle tintinnavano quando spirava il vento.

La nuova residenza palermitana
Quando il re la vide, se ne incapricciò subito e senz’altro la fece annettere alla sua nuova tenuta. Venanzio Marvuglia venne richiamato e incaricato di rimettere mano alla villa delle campanelle, adattandola alle necessità di una famiglia reale. L’architetto (dal 1802 sostituito dal figlio Alessandro Emanuele) riuscì nell’insolita impresa di mettere insieme lo stile orientale della casina con l’equilibrio neoclassico di suo gusto. Anche le decorazioni, alle quali si mise mano nel 1805, rispecchiano la singolare scelta stilistica, con ornati di gusto cinese accanto a quelli, preferiti dalla regina Maria Carolina, di stile neoclassico. Proprio la regina richiese che si facessero ampi riferimenti ai ritrovamenti archeologici di Ercolano e Pompei (fra l’altro, volle i pavimenti a encausto, una tecnica raffinatissima mutuata dalle ville romane), e che ci fosse anche un tocco moresco.
Ecco perché la Casina Cinese è un edificio unico nel suo genere, eclettico e divertente, elegante e sorprendente. Si entra al piano nobile, con la camera da letto del re, la sala da gioco, il salone delle udienze e la sala da pranzo sontuosamente decorati con dipinti “alla cinese” e tappezzerie tinte con succhi d’erbe. Nella stanza da pranzo, troneggia il tavolo matematico, o à la clochette, progettato dallo stesso architetto Marvuglia sul modello del tavolo da pranzo che Luigi XIV aveva nella propria residenza di Marly.
Da poco restaurato grazie al finanziamento della Fondazione Le Vie dei Tesori, consentiva alla famiglia reale e agli ospiti di consumare i pasti senza il disturbo di vedersi intorno dei camerieri. Si tratta di una sorta di montacarichi: i domestici, nel seminterrato, ponevano su dei vassoi circolari le pietanze che portavano dalle cucine attraverso un cunicolo sotterraneo, e poi li issavano fino al tavolo con un sistema di carrucole. I commensali avevano a disposizione alcune cordicelle, ciascuna collegata a un bastoncino di legno sul meccanismo in cantina. Se ad esempio si desiderava del pane o del sale, si tirava la cordicella corrispondente: il bastoncino si sollevava e indicava un biglietto sul quale era scritto il cibo desiderato e il cameriere “sotterraneo” poteva provvedere.
Dalla camera da letto del re, una scaletta nascosta porta alla sala da bagno, con un’invidiabile vasca in marmo. Da qui, il re poteva passare direttamente nella sala da ballo, decorata in stile Luigi e, accanto, nella sala “delle rovine” con un incredibile trompe l’oeil nella volta e alle pareti: quando i restauratori hanno messo mano a questo ambiente, hanno avuto difficoltà a distinguere le vere macchie di umidità da quelle dipinte fra pietre e fogliami!
Salendo, oltre il piano intermedio con le stanze riservate a dame e cavalieri, si arriva al secondo piano, dove si trova l’appartamento della regina, con due grandi terrazze e quattro stanze tutte diverse: il Salottino alla Turca che sembra copiato da un palazzo delle Mille e Una Notte; la Saletta Ercolana, con decorazioni che richiamano le scoperte archeologiche; la camera da letto, in stile neoclassico, con i medaglioni dei membri della famiglia reale, il Gabinetto delle Pietre Preziose, con un raffinatissimo intarsio alle pareti.
Da qui si ammirano le geometrie del giardino all’italiana, la parte più vicina dei giardini che proseguono a ovest della casina, dove si provvide a sistemare un parco con vialetti ed elementi decorativi di gusto neoclassico (spicca la grande Fontana di Ercole), la tenuta agricola produttiva e la riserva di caccia.
La casina rimase di proprietà dei Borbone fino all’avvento del Regno d’Italia, quando passò prima ai Savoia e poi allo Stato Italiano che, al principio del Novecento, destinò tutta la tenuta al “pubblico godimento”. Nel 1935 la Casina entrò nel patrimonio del Comune che per un po’ la utilizzò per i matrimoni civili. Chiusa per più di un ventennio, è stata infine restaurata e oggi è aperta alle visite.

Alcune informazioni e citazioni sono tratte dal testo di Ettore Sessa “Le Tenute Reali dei Borbone in Sicilia”, che dedica ampio spazio in particolare alla proprietà di Ficuzza. Per approfondire c’è anche il volumetto “Casina alla Cinese in Palermo – Diletto e Meraviglia”, pubblicato dalla Regione Siciliana e dalla Sovrintendenza BBCCAA di Palermo. Le foto del montacarichi e del dettaglio del tavolo sono di Igor Petyx.