Via Dante era un tempo, e in buona misura è ancora, una delle strade eleganti di Palermo. Venne aperta nel 1892 e chiamata Via dell’Esposizione, in omaggio alla grande mostra nazionale che si era svolta l’anno precedente, per celebrare i fasti degli imprenditori palermitani.

I padiglioni dell’Esposizione Nazionale furono disegnati da Ernesto Basile in stile “normanno siculo”

I padiglioni dell’Esposizione Nazionale, disegnati da Ernesto Basile, si trovavano proprio nell’area all’inizio della via Dante (l’attuale intitolazione è del 1910). Al termine dell’evento le grandi costruzioni in stile “normanno siculo” furono demolite e la zona lottizzata, e fu tracciata, appunto, la via dell’Esposizione, che andava a congiungersi con la via dei Lolli. La strada raggiungeva la contrada dell’Olivuzza dove erano state costruite le eleganti ville suburbane di alcune famiglie molto in vista. Come i Whitaker, eredi del miliardario Benjamin Ingham e del suo impero economico, e i Florio, imprenditori palermitani che non hanno bisogno di alcuna presentazione.

Proprio di questi ultimi era socio e amministratore il commendatore Vincenzo Caruso, il personaggio con cui comincia la storia di Villa Virginia, di cui oggi voglio raccontarvi. Vincenzo era figlio di Gaetano, a sua volta stimato amministratore dei Florio, persona di grande capacità e talmente affezionato alla famiglia da battezzare i proprio figli Vincenzo e Ignazio, proprio come i fratelli Florio. Vincenzo, che era subentrato nel ruolo del padre, condivideva il legame con la famiglia e dunque, quando decise di far costruire una residenza per sé e la moglie Virginia, fu ovvio per lui andare a scegliere il professionista a cui affidare la progettazione fra quelli che frequentavano abitualmente l’entourage dei Florio.

Il prospetto di Villa Virginia su via Dante in un’immagine d’epoca

La scelta cadde sull’architetto Filippo La Porta che aveva seguito il cantiere della residenza dei Florio a Favignana (un progetto del suo maestro Giuseppe Damiani Almeyda, ingegnere e architetto fra i più rinomati del tempo che, da docente universitario, aveva formato il fior fiore dei professionisti siciliani). Allo stesso tempo, Caruso scelse di costruire lungo la citata via Lolli, acquistando un ampio lotto di terreno a ridosso dell’immensa proprietà dei Whitaker, perché si sarebbe trovato a comoda distanza dalle residenze dei Florio. Uscendo da casa sua poteva raggiungerle se necessario con una breve passeggiata nel verde.

Il progetto di Villa Virginia è del 1908, i bellissimi disegni, su grandi fogli di carta ingiallita, sono oggi incorniciati ed esposti al primo piano della bella villa. Li hanno rinvenuti le attuali proprietarie, Leila ed Eleonora Orlando, accatastati nella cantina. Posso solo immaginare le emozioni provate dispiegando gli ampi fogli. Si vedono gli esterni, gli interni, il progetto del giardino, i tanti dettagli. La villa, infatti, come “prescritto” dallo stile Liberty, fu progettata come un unicum, un’opera d’arte totale in cui ogni parte concorre a creare un’immagine complessiva. Così come doveva essere il Villino Florio, opera dell’architetto Ernesto Basile, ma che oggi possiamo solo immaginare perché gli interni bruciarono nel 1962. Qui invece vi sono tantissimi pezzi originali, ben conservati: varcare la soglia della casa è come entrare direttamente nel passato.

E così i mobili sono di Ducrot e di Mucoli, le ceramiche vengono dalla fabbrica dei Florio, le vetrate piombate sono quelle disegnate da Pietro Bevilacqua, e oggi come cento e più anni fa filtrano la luce in un caleidoscopio di tinte luminose. Le linee curve dello stile floreale si avvolgono sui gradini della scala, sulle vetrine, sui lampadari, mentre il grammofono e il pianoforte ci parlano di musiche lontane. Perfino i caloriferi sono quelli originali, dei bestioni in ghisa minutamente ornati a rilievo che, accesi, riscaldano gli ambienti con risultati degni di climi ben più nordici. Al primo piano, le camere da letto sono state trasformate per consentire l’accoglienza (la villa si può prendere in affitto per intero) e anche qui ogni dettaglio è stato recuperato, dalle maniglie delle porte ai bagni, con le vasche sollevate su leziosi piedini.

Vincenzo e Virginia, purtroppo, non ebbero figli e, così, dopo di loro, Villa Virginia pervenne a Rosa Amoretti, una nipote genovese di Virginia che ogni anno trascorreva l’estate a Palermo e che qui conobbe e sposò il barone Vincenzo Valenti. I due si stabilirono nella villa ed ebbero due figli: Giuseppe, morto bambino, e Giancarlo, appassionato archeologo che, non avendo figli o eredi diretti, testamentò la villa alla famiglia Orlando. Eleonora Orlando, che mi ha accompagnato nella visita, mi ha raccontato della sua adolescenza fra queste mura e di come, in anni recenti, abbia deciso con la sorella di aprire le porte della villa in selezionate occasioni: una volta al mese con le guide della coop. Terradamare e in autunno in occasione del festival Le Vie dei Tesori.

Le visite sono un’occasione imperdibile, specie perché la guida saprà indicare i tanti dettagli che rendono preziosa questa antica villa. I melograni che ornano le porte, ad esempio, un simbolo di fertilità che purtroppo non sortì gli effetti desiderati per Vincenzo e Virginia; il ritratto di Virginia realizzato dal pittore Ettore De Maria Bergler, l’autore dei magnifici affreschi che ornano il salone di Villa Igiea; il rivestimento in cuoio decorato in oro dello studio, e i preziosi dipinti della pittrice giapponese O’Tama Kiyohara che, per i Caruso, decorò le pareti del tinello, realizzando un paesaggio fiabesco che dà alla stanza un’atmosfera tutta sua.

Virginia Caruso ritratta da Ettore De Maria Bergler

Uscendo, i palazzi che si affiancano a Villa Virginia, frutto di una scellerata espansione edilizia, mi riportano al presente e a un’epoca che spesso, purtroppo, perde di vista la bellezza. Tanto più, allora, luoghi come questo vanno custoditi, per ricordarci come eravamo e come potremmo ancora essere.