La famiglia Chiaramonte era, nel Trecento, all’apice della sua potenza. Ricchissimi e con tutti i giusti legami sociali, erano talmente influenti che la Zecca di Messina batteva moneta con il loro stemma, anziché con l’effige del re. Cent’anni dopo erano spariti. Cosa successe?

Sembra che i primi Chiaramonte siano giunti in Italia dalla Francia insieme ai Normanni. All’epoca si chiamavano De Clermont, si stabilirono in Campania e in Basilicata e, nel corso del Duecento, in Sicilia. Proprio nel XIII secolo un Federico Chiaramonte conte di Sutera sposò la ricchissima Rosalia Prefoglio, detta Marchisia, una nobile agrigentina che, alla morte del fratello, aveva ereditato un patrimonio sterminato e una quantità di titoli. I due scelsero di vivere ad Agrigento, in un massiccio palazzo fortificato (un Hosterium) ed ebbero diversi figli fra i quali Manfredi, Giovanni e Federico. Furono proprio questi tre a portare in auge il nome della famiglia, dividendo fra loro i tanti titoli dei genitori e moltiplicandone le fortune con una serie di accorte iniziative politiche.

In ogni sede del proprio potere – da Caccamo a Comiso, da Modica a Palermo, da Racalmuto a Siculiana e Favara – fecero costruire maestose residenze, sempre con lo stesso stile che in seguito sarebbe stato conosciuto come “chiaramontano”, uno stile eclettico che mette insieme elementi bizantini, arabi, normanni, spagnoleggianti. L’elemento più riconoscibile sono le modanature in pietra a zig zag inserite in portali e finestre a sesto acuto, che già erano state realizzate nel palazzo di famiglia di Agrigento. Palazzo che, in seguito alla morte del marito, Marchisia donò alle monache cistercensi, perché vi potessero realizzare un convento, funzione che ha mantenuto fino a quando, nel 1867, fu incamerato dal Regno d’Italia.
Oggi ospita un piccolo museo, si visitano il vecchio chiostro, la cappella, l’Aula Capitolare (cui si accede dal caratteristico portale chiaramontano, perfettamente conservato), il refettorio, il dormitorio delle monache, la Stanza della Badessa o della Torre, con il bel Crocifisso del Quattrocento.
I tre fratelli Chiaramonte ebbero una posizione assai prominente nella vita pubblica siciliana ricoprendo cariche di rilievo, da quella di capitano militare a quella di procuratore generale. Ovvio che servisse loro una dimora adeguata a Palermo, la capitale, e così Giovanni acquistò un terreno nel quartiere Kalsa per realizzarvi un Hosterium come ad Agrigento. La costruzione fu portata avanti dal fratello Manfredi e proseguì per qualche decennio, restando però incompiuta.

In realtà, i Chiaramonte non avevano poi molto tempo da dedicare all’architettura. Cercare di seguire le tumultuose vicende del XIV secolo che li videro protagonisti richiede estrema concentrazione quando non dedizione, nel susseguirsi incessante di battaglie, accordi matrimoniali, complotti, avvelenamenti e chi più ne ha più ne metta. Per riassumere molto brevemente, i Chiaramonte si schierarono prima contro i francesi che cercavano di riprendersi la Sicilia e poi capeggiarono la resistenza contro gli spagnoli e la loro politica assolutista, fino a schierarsi contro il re Martino che consideravano un usurpatore.

Il re allora fece porre l’assedio proprio al palazzo di Palermo dove l’ultimo conte, Andrea, si era asserragliato. Una resistenza che si sarebbe protratta a lungo, se Andrea non fosse stato convinto a cedere e a fare atto di sottomissione al re. Forse per stanchezza o forse perché credeva che la situazione fosse ancora recuperabile, Andrea uscì dal palazzo e si presentò al re il quale, però, lo fece senz’altro arrestare, processare su due piedi, condannare e decapitare. Exit Chiaramonte.

Il patibolo venne montato proprio davanti all’ingresso dello Steri, del quale il re nel frattempo aveva preso possesso. Possiamo immaginare che abbia seguito l’esecuzione da una delle grandi finestre della facciata. Subito dopo i beni dei Chiaramonte furono suddivisi fra Guglielmo Raimondo Moncada e Bernardo Cabrera. Isabella, la vedova di Andrea, si rinchiuse nel convento di Santo Spirito di Agrigento, in quello che era stato il primo Steri della famiglia, gli eventuali pretendenti ai titoli furono variamente tolti di mezzo.

Nel Quattrocento il palazzo palermitano divenne sede dei Vicerè, nel 1601 ne prese possesso il Tribunale dell’Inquisizione che vi realizzò le carceri. Nella piazza antistante c’era tutto lo spazio necessario per allestire i roghi sui quali arrostire i disgraziati che fossero stati trovati colpevoli di eresia. Quando, nel 1782, il tribunale cessò le sue attività, lo Steri passò alla Dogana, poi ai tribunali e infine, nel 1967, all’Università di Palermo che oggi, dopo un lungo restauro, lo apre al pubblico (per info, clicca QUI).
La visita consente di vedere, fra altre cose, una collezione di oggetti di uso quotidiano del Tre-Quattrocento, quel che resta delle carceri dell’Inquisizione, con i graffiti e i disegni dei prigionieri, il dipinto La Vucciria di Renato Guttuso, nel nuovo allestimento nella Sala delle Armi, e il preziosissimo soffitto ligneo di oltre 220 mq, interamente dipinto fra il 1377 e il 1380 da tre decoratori siciliani che si firmarono a grandi caratteri gotici: Mastru Chicu – pinturi di Naru, Mastru Simuni pinturi di Curigluni (Corleone) e Mastru Carenu pinturi di Palermu.
Fra iscrizioni in latino e pseudo-arabe, motivi vegetali e intrecci geometrici, i tre illustrarono scene bibliche e mitologiche, episodi delle saghe cavalleresche, bestiari, raffigurazioni di virtù e altro ancora, in un susseguirsi incalzante di immagini. Una vera enciclopedia medievale.

Come già accennato, i Chiaramonte hanno lasciato traccia della loro presenza in una quantità di paesi siciliani, e i palazzi e i castelli che portano il loro nome sono un segno tangibile della potenza della famiglia. Spicca fra essi il magnifico castello di Mussomeli che si eleva solitario su uno sperone di roccia a breve distanza dall’abitato, e che, pur abbandonato per secoli – o forse proprio per questo – si è conservato nel suo aspetto medievale. La visita è interessantissima, fra scuderie, saloni dalle alte volte, mura merlate e un panorama immenso. Ci torneremo.