Mi è sembrato di vederli. Roger Peyrefitte seduto a scrivere fra gli alberi. Ernest Hemingway sulla terrazza con immancabili sigaro e drink. Greta Garbo e Coco Chanel sotto la pergola, per preservare l’incarnato dai raggi del sole. E ancora Salvador Dalì, David Herbert Lawrence, Bertrand Russell, tutti gli ospiti di Casa Cuseni, la prima residenza d’artisti e studiosi d’Europa, negli anni Cinquanta, a Taormina.

Casa Cuseni in un acquerello di Robert Kitson

La visita è stata un’esperienza straordinariamente coinvolgente. Per via della memoria di questi personaggi, della fantastica storia e ricchezza della casa, della bellezza – e dei segreti – del giardino, ma anche per la passione straripante della mia guida, il proprietario Francesco Spadaro. Che nel 2011, insieme alla moglie Mimma Cundari (che nella villa ci è cresciuta, con Roald Dahl che le leggeva le fiabe), non ha esitato un momento a farsi carico di un notevolissimo impegno economico pur di salvare la residenza da un destino incerto.

Dall’Inghilterra a Taormina
Don Roberto Kitson

La storia di Casa Cuseni inizia nel 1905 quando fu realizzata per volere del pittore inglese Robert Hawthorn Kitson, rampollo di una famiglia che si era arricchita costruendo locomotive. Sir John, il padre di Robert, desiderava ovviamente che il ragazzo gli succedesse alla guida dell’industria, ma lui non era proprio della stessa idea. Il suo animo sensibile e curioso era lontanissimo dallo spirito imprenditoriale della famiglia e così, dopo un riluttante tentativo di interessarsi all’attività paterna, colse al volo l’opportunità di lasciare l’Inghilterra offertagli dal suo medico curante. Dopo due episodi di febbre reumatica, infatti, questi gli aveva “imposto” di trascorrere l’inverno lontano dall’Inghilterra. Il giovane Robert non se lo fece ripetere. La prima destinazione dei suoi viaggi, ça va sans dire, fu l’Italia.

Vista della costiera amalfitana da Ravello, uno dei luoghi frequentati da Robert Kitson nei viaggi in Italia

A Venezia, Robert era di casa, con tanto di gondoliere al suo personale servizio, ma anche, Roma, Napoli e Ravello erano luoghi molto amati. Nel 1899 però, quando, alla morte del padre, poté liquidare le proprietà e le attività inglesi, ritrovandosi un consistente patrimonio, decise che il luogo in cui voleva vivere era Taormina.

Wolfgang Goethe definì il panorama che si vede dalle gradinate del Teatro Antico di Taormina “il più bello del mondo (ph. MelaMedia)

La piccola città siciliana era conosciuta nelle migliori cerchie della creme europea fin da quando, a inizio Ottocento, Wolfgang Goethe aveva pubblicato il suo Viaggio in Italia, dedicandole una descrizione incantata. Circa cinquant’anni dopo, un altro tedesco, Otto Geleng, aveva cominciato a vendere i propri dipinti realizzati a Taormina, attirando in Sicilia i primi turisti, affascinati da quei paesaggi. Addirittura, a inizio Novecento, venne istituita una linea ferroviaria che da Londra andava a Parigi e poi a Taormina! E poi c’era Wilhelm von Gloeden, il fotografo tedesco che ritraeva giovani pastori siciliani in pose e ambienti classici (ne ho scritto qui).

Prospetto di Casa Cuseni

Insomma, trovato il posto adatto, su una fianco della collina in meravigliosa posizione panoramica (un sito già occupato da una residenza greca), il nostro diede il via alla costruzione, coinvolgendo gli amici di una vita. Alfred East, che poco tempo dopo sarebbe stato nominato presidente della Royal Society of British Artists; e Sir Frank Brangwyn, pittore e decoratore di versatile talento, collaboratore, fra l’altro, di Louis Confort Tiffany.

Una casa in collina

Ci vorrebbe ben più di un articolo, per descrivere la villa – e del resto l’erede di Robert, la signora Daphne Phelps, ha messo insieme 200 pagine nel volume Una casa in Sicilia. Ogni pietra, ogni oggetto, trasuda una storia affascinante e meritevole di essere raccontata. C’è la sala da pranzo, interamente progettata da Frank Brangwyn, con alle pareti i delicati dipinti che illustrano gli episodi salienti del rapporto fra Robert Kitson e il pittore taorminese Carlo Siligato.

Compresa l’adozione del piccolo Francesco, reso orfano dal terremoto di Messina del 1908, che a Taormina trovò due padri amorevoli, formando con loro la prima famiglia omogenitoriale del nostro paese (nella stanza è ancora conservato il triciclo del bambino, una creazione in stile futurista).

Ci sono gli acquerelli di Robert, centinaia di fogli che ci mostrano la villa, i panorami, le piante del giardino; il cappellino di Coco Chanel; il presepe secentesco custodito in un cassettone, i reperti archeologici emersi dalla terra durante i lavori di costruzione, e i souvenir che Robert portava a casa dall’Africa, dalla Spagna e dal Medio Oriente, dove viaggiava per molti mesi all’anno.

C’è la collezione di dipinti e antichità che, durante la guerra, fu salvata dall’avidità degli invasori tedeschi, che avevano occupato la casa, dagli abitanti di Taormina, che si incaricarono di custodire gli oggetti in stalle e pozzi, in attesa che Robert, fuggito in Inghilterra, potesse rientrare. Un’iniziativa che la dice lunga sull’affetto che circondava Don Roberto, come presto venne chiamato “l’inglese pazzo” che aveva deciso di stabilirsi in un luogo isolato, lontano dal paese e con scarsissimo approviggionamento idrico, ma che frequentava i taorminesi trattandoli alla pari, e che aveva imparato non solo l’italiano ma anche il siciliano.

Tutto questo me lo ha raccontato Francesco Spadaro, rapidamente passando, con incontenibile, contagioso entusiasmo, da una stanza all’altra. Attraverso le sue parole ho conosciuto la signorina Daphne, che giunse a Taormina nel 1948 per vendere la proprietà dello zio, morto l’anno precedente, e invece non andò più via, affrontando ogni sorta di difficoltà per custodire la bella casa fino alla sua morte, nel 2005.

La signorina Daphne Phelps

Ho saputo degli ospiti illustri che lui stesso ha incontrato, come Denis Mack Smith, lo storico autore di una famosa Storia della Sicilia, che non disdegnava di dare una mano in giardino e in cucina. Del laboratorio di restauro, in cui un team di giovani si impegna nel ripristino del prezioso patrimonio. Infine mi ha detto della figlia Daphne (intuibili i motivi che hanno portato alla scelta del suo nome) che insieme al fratello Fabio Andrea, potrà portare avanti l’amore per questa casa nelle future generazioni.

La giovane Daphne Elisabeth Spadaro
Un giardino spirituale

Soprattutto, Francesco Spadaro mi ha parlato del giardino. Loggiati, terrazzi, scalinate scandiscono gli spazi che si sviluppano in verticale su una superficie di 12mila mq che arriva fin quasi alla Madonna della Rocca, affollati di aiuole straripanti di vegetazione.

Vista dall’alto del giardino

Alberi, fiori e cespugli che si intuiscono disposti ad arte, sono lasciati liberi di svilupparsi e compongono un giardino naturale, dove anche le erbacce hanno una loro rispettabilissima dignità. Sia Robert Kitson che Daphne Phelps, del resto, amavano particolarmente le piante spontanee e selvatiche, nel convincimento che “è il clima che fa la flora”.

“Ma c’è molto di più!” sorride Francesco Spadaro, trascinandomi a passo svelto su per le rampe di scale verso la parte superiore della proprietà, gentilmente sollecitandomi quando mi fermo incantata davanti a una macchia di speronelle viola, all’aiuola colma di altissimi papaveri, alle odorose cascate di falsi gelsomini e glicini. Una terrazza via l’altra mi conduce verso l’alto, in un percorso che presto diventa simbolico, a vedere le vasche di purificazione, il “tempio di Salomone”, gli scorci prospettici studiatissimi, le pose delle statue.

La Fontana dei Papiri disegnata da Frank Brangwyn. Ha le caratteristiche di un Mikweh ebraico

Tutti elementi che, insieme alle prove documentali che ha raccolto, testimoniano che questo giardino è stato concepito come un luogo in cui è possibile lasciare lo spazio fisico e dedicarsi alla meditazione, uno spazio teosofico in cui ogni livello e ogni prospettiva sono destinati all’elevazione della mente verso un’intensa esperienza spirituale.

Nella decorazione del giardino furono coinvolti anche nomi noti dell’arte dell’epoca, come Fortunato Depero – che realizzò ad esempio un Giano Bifronte, con il suo simbolismo di morte e rinascita – e Giacomo Balla, che durante il suo soggiorno nel 1914 realizzò, fra altre cose, una fontana/meridiana e un’immagine dell’Etna in eruzione. L’ultimo livello è quello della grande vasca per la raccolta dell’acqua piovana (da qui, per caduta, si alimentavano anche le vasche più in basso), circondata da un colonnato su cui s’avvinghiano vecchi gelsomini.

La vasca all’ultimo livello

“Quando la vasca è piena, nelle giornate limpide si può vedere l’Etna specchiarsi nell’acqua” mi informa Francesco Spadaro, volgendosi poi ad abbracciare con un solo sguardo la vista sul vulcano, il mare e la casa, da basso, con il suo colore giallo polveroso che risalta nel verde.

Vivere Casa Cuseni

Con i nuovi proprietari, la villa ha mantenuto lo spirito che aveva voluto darle Daphne Phelps, trasformandola in una locanda per artisti, scienziati e intellettuali.

La pergola ricoperta di glicini

Si può prenotare un soggiorno fra queste vecchie mura, e lasciarsi pervadere dal suo incredibile fascino. Ma anche solo richiedere una visita guidata, e immergersi, per qualche ora, nella storia e nella bellezza della Taormina del passato. Un luogo che non esiste più. O forse sì? Per tutte le info, clicca qui.